Cooperativa rossa e sociale "Lavoro e Liberazione": prima il licenziamento, poi la rappresaglia.
La C.U.B. intende denunciare pubblicamente il comportamento antisindacale e intimidatorio della cooperativa sedicente sociale “Lavoro e Liberazione” nei confronti di un lavoratore precario che ha osato difendere i propri diritti in azienda.
La storia inizia nell'aprile del 2005, con un'assunzione temporanea come operaio agricolo di ultimo livello, e la solita clausola capestro della qualifica di “socio-lavoratore”, che riduce in partenza ogni diritto e accresce il potere della dirigenza.
I contratti “a tempo determinato” si susseguono per più di quattro anni, in ispregio delle pur blande garanzie del contratto nazionale.
Il lavoratore, nella sua militanza sindacale, svolge tra i compagni di lavoro una legittima azione di sensibilizzazione in tema di diritti, di salario, di sicurezza. Fa emergere problemi legati al rispetto della 626, al pericolo della presenza di amianto in alcune situazioni, all' utilizzo di strumenti potenzialmente pericolosi, ma anche alla distribuzione dei carichi di lavoro, alla retribuzione, alla gestione del personale.
Nel giugno 2008 il lavoratore viene ingiustamente accusato di negligenza sul lavoro per presunti danni arrecati a un mezzo della cooperativa.
Con l'appoggio della C.U.B., il lavoratore fornisce le proprie giustificazioni, che evidentemente vengono accettate dalla cooperativa, che non prende alcun provvedimento disciplinare nei tempi previsti dalla legge e dal contratto.
Agli inizi di settembre 2008 il lavoratore subisce un infortunio sul lavoro, che si protrae sino agli inizi del 2009; nel frattempo scade il suo ennesimo contratto a termine e la cooperativa “Lavoro e Liberazione”, in puro stile padronale, comunica che il rapporto di lavoro è da ritenersi estinto e che la cooperativa stessa non ha alcuna intenzione di rinnovarlo.
La C.U.B. indice lo stato di agitazione e avvia le procedure legali, la cooperativa chiede un incontro che si rivela una perdita di tempo e una presa in giro, la Direzione Provinciale del Lavoro non può che registrare il mancato accordo e, sul piano legale, la parola passa al giudice.
Nel contempo, la C.U.B. continua la mobilitazione, che si esprime con un presidio durante l'assemblea dei soci della cooperativa Lavoro e Liberazione, che si tiene il 29 maggio presso lo spazio sociale dell'ex Caserma dei Vigili del Fuoco.
Ma lo stesso giorno il lavoratore riceve una raccomandata dall' avvocato, che per conto della cooperativa chiede entro dieci giorni 4.000 euro di danni per il fatto accaduto a giugno e per sé 300 euro per la sua nobile missione.
Durante l'assemblea dei soci della cooperativa, la C.U.B. denuncia il comportamento antisindacale della direzione della cooperativa, ma soprattutto la sua scelta di cercare di intimidire il lavoratore, con un atto esplicito di rappresaglia padronale.
Dopo una grottesca parodia di procedura democratica, la presidenza della cooperativa ha imposto a un' assemblea condizionata e intimorita la ripresa dei lavori sull'ordine del giorno previsto, comportandosi esattamente come ogni padrone che si rispetti.
E' fuor di dubbio che la cooperativa sedicente sociale “Lavoro e Liberazione” sappia di essere ampiamente dalla parte del torto e cerchi di chiudere la bocca al lavoratore e alla CUB con lo strumento del ricatto economico: le nostre precise accuse rischiano di offuscare la patina di cooperativa democratica che troppe compiacenze politiche hanno avvallato in questi anni.
E' altrettanto fuor di dubbio che la cooperativa stessa non possa accettare che un lavoratore si ribelli, difendendo i propri diritti, anziché umiliarsi davanti ad essa per ottenere un lavoro.
La battaglia sarà lunga e dura, ma, come abbiamo già ampiamente dimostrato, non ci fermeremo davanti alle intimidazioni né ai ricatti.
Continueremo a difendere le ragioni del lavoratore fino alla sua riassunzione, contando sul nostro buon diritto e sulla solidarietà di quanti hanno già voluto schierarsi al suo fianco e di quanti lo faranno nei prossimi giorni.